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Vitreolisi - Una relazione del San Raffaele

 
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artemisia



Registrato: 09/08/05 23:07
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MessaggioInviato: Dom 09 Ott, 2005 22:29    Oggetto: Vitreolisi - Una relazione del San Raffaele Rispondi citando

Ho trovato un link in Pdf sulla vitreolisi enzimatica; è una relazione presentata ad un congresso del 2003 dal dipartimento di Oftalmologia del San Raffaele (mi).

La relazione riguarda l'impiego della plasmina per l'edema maculare diabetico, però mi sembra interessante anche per noi.

Il congresso faceva parte di una serie di incontri ( “Incontri Oftalmologici Bassanesi: Occhio e Diabete - Nuovi Orizzonti”) organizzati a Bassano del Grappa.
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http://www.otticafisiopatologica.it/openfile.asp?f=08_03_05


Le maculopatie diabetiche che beneficiano dell’intervento chirurgico sono soprattutto quelle secondarie a trazione vitreoretinica, ove il distacco/retinoschisi/ectopia maculare è secondario a proliferazione di tessuto fibrovascolare, e quelle secondarie a trazione ialoidea isolata, talvolta di difficile diagnosi, ove l’edema intramaculare è associato spesso anche a distacco sieroso maculare. In questi casi l’uso della plasmina durante chirurgia vitreoretinica può essere utile per facilitare la rimozione del vitreo corticale e della ialoide posteriore, diminuendo il trauma chirurgico soprattutto nei pazienti giovani in cui le aderenze itreoretiniche sono molto tenaci.

Il vitreo è una sostanza di consistenza gelatinosa composta per il 98% di acqua e da una impalcatura di componenti macromolecolari; i principali costituenti sono il collagene e l’acido ialuronico, ma esistono anche roteoglicani, glicoproteine ed altre sostanze minori che hanno un ruolo critico nel mantenere la struttura tridimensionale del gel e l’adesione tra vitreo e retina. Questa aderenza è determinata prevalentemente dalla presenza di un collante extracellulare che unisce le fibrille collagene del vitreo corticale alla membrana limitante interna. In particolare la laminina e la fibronectina rivestono un ruolo fondamentale nella stabilizzazione dell’adesione vitreoretinica.

La completa separazione della corticale vitreale dalla superficie retinica rappresenta uno dei momenti fondamentali degli interventi di chirurgia vitreoretinica. Data la stretta adesione del vitreo corticale alla membrana limitante interna, particolarmente tenace soprattutto nei soggetti giovani, la separazione chirurgica del corpo vitreo dalla retina può risultare difficile, soprattutto in presenza di distacco di retina, e può essere causa di edemi ed emorragie retiniche. Inoltre una separazione incompleta può lasciare sulla superficie retinica residui vitreali che rappresentano il supporto per una eventuale successiva proliferazione vitreoretinica. Il termine “vitreolisi farmacologica” si riferisce all’uso di sostanze farmacologiche diverse in grado di alterare l’organizzazione molecolare del corpo vitreo ottenendo da un lato la liquefazione del gel (sinchisi) e dall’altro il collasso e la separazione del vitreo dalla retina (sineresi) come avviene in caso di distacco posteriore spontaneo del vitreo.

Sono state studiate varie sostanze di natura enzimatica e non enzimatica.
Tra le sostanze enzimatiche substratospecifiche ricordiamo la condroitinasi, la ialuronidasi e la collagenasi, tra quelle non specifiche il dispase e la plasmina. La condroitinasi lisando il condroitin-solfato si è dimostrata efficace facilitando soprattutto la rimozione delle membrane epiretiniche. L’utilizzo di ialunoridasi aveva provocato nel passato estese edemi retinici; recenti studi su occhi di coniglio in dosi di 10 UI hanno dato risultati più incoraggianti. L’uso della collagenasi in studi pilota su occhi umani ha mostrato la sua efficacia nel facilitare la rimozione di tessuto fibroso in corso di vitrectomia. Il dispase finora è stato testato con successo solo in occhi enucleati. La plasmina infine è finora l’enzima proteolitico più utilizzato per la sua aspecificità. Esso favorisce la lisi di laminina e fibronectina (le principali proteine
costituenti l’interfaccia vitreoretinica) promuovendo in questo modo la separazione del corpo vitreo posteriore dalla retina senza alterazioni
morfologiche della retina stessa. L’utilizzo di questa sostanza durante l’intervento permetterebbe di ridurre il traumatismo chirurgico secondario alla trazione meccanica fra ialoide posteriore e retina strettamente adese,
limitando quindi emorragie retiniche, edemi, eventuali rotture retiniche iatrogene e alterazioni del campo visivo secondarie a traumatismi retinici.

Citiamo anche l’attivatore tissutale del plasminogeno (r-TPA) che non è un vero e proprio enzima ma un precursore; viene utilizzato in interventi chirurgici selezionati di chirurgia vitreoretinica per ridurre una marcata componente emorragica del vitreo o degli spazi retinici. I dati riportati in letteratura riguardanti il suo utilizzo per ottenere anche un distacco posteriore di vitreo non sono molto confortanti.
La sua azione sulla matrice extracellulare è solo in minima parte diretta, esso agisce soprattutto convertendo il plasminogeno in plasmina. La sua attività quindi non può essere quantificata perché dipende dalla quantità e dal tipo di plasminogeno presente e forse anche dalla presenza di inibitori del r-TPA, ragioni che possono spiegare la variabilità della sua azione nell’indurre un distacco posteriore di vitreo. Per ottenere una quantità utile di plasmina, l’enzima realmente efficace nell’indurre la vitreolisi, sarebbe necessario l’utilizzo di grandi quantità di r-TPA tali da risultare tossiche per la retina.

L’utilizzo della plasmina autologa è indicata soprattutto laddove ci sia la necessità di rimuovere una ialoide posteriore tenacemente adesa, come nelle maculopatie diabetiche secondarie a proliferazione di tessuto fibrovascolare o in quelle secondarie a trazione ialoidea isolata. Il plasminogeno viene isolato in laboratorio dal sangue del paziente prelevato mediante cromatografia per affinità e attivato a plasmina con 50.000 UI di streptochinasi. L’attività della plasmina viene determinata con metodo cromogenico (per stabilire quante unità di plasmina abbiamo a disposizione) e diluita alla concentrazione voluta. Successivamente viene sterilizzata con filtri da 0.22 micrometri; un campione viene poi inviato al laboratorio di batteriologia per emocoltura aerobia ed anaerobia allo scopo di verificarne la sterilità. Un altro campione viene opportunamente testato per valutarne l’eventuale presenza di endotossine.

Al momento dell’intervento chirurgico, dopo anestesia locale, vengono iniettate in camera vitrea via pars plana 0.8 - 1 UI di plasmina autologa in un volume di 0.1 - 0.2 ml; dopo un tempo di 25 minuti necessario all’enzima per raggiungere il picco di attività (che rimane tale per 1h e 30 min per decrescere al 30% della sua attività a 3h e a 0% a 24h) e ottenere il piano di clivaggio tra ialoide posteriore e membrana limitante interna, si esegue l’intervento di chirurgia vitreoretinica con metodica standard.

Un recente studio pilota eseguito presso il Dipartimento di Oftalmologia e Scienze della Visione dell’Ospedale Universitario San Raffaele su pazienti diabetici affetti da edema maculare secondario ad ispessimento e trazione ialoidea ha evidenziato come l’azione della plasmina autologa sia dose dipendente e ha dimostrato la reale efficacia nell’asportare la ialoide posteriore adesa alla retina. La tomografia ottica a luce coerente è stata molto utile nello studio preoperatorio e postoperatorio di questi pazienti, ove ha evidenziato un vario grado di riassorbimento dell’edema maculare. Questi confortanti studi preliminari hanno consigliato di allargare lo studio ad altre patologie vitreoretiniche. Riteniamo, infatti, che l’utilizzo della plasmina autologa trovi indicazione non solo nella maculopatia diabetica ma anche in altre patologie maculari, quali fori maculari traumatici del giovane e pucker maculari.
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